Elezioni, l’inganno delle percentuali

bonanniPolitici, commentatori e analisti non ne vogliono parlare, ma il partito dell’astensionismo ad oggi è ancora il primo in Italia, ed è la vera ferita della democrazia. Anzi, guardano con sufficienza questa condizione del voto nel Belpaese; ma se fossero persone consapevoli del ruolo che hanno dovrebbero essere molto preoccupati.

Qualcuno dirà; nelle realtà evolute non tutti vanno a votare, e dunque anche l’Italia si allinea a questa tendenza. In verità non è così: nelle elezioni delle rappresentanze sindacali nei posti di lavoro – ad esempio – l’affluenza raggiunge tra l’82 e l’87%. Questo perché i lavoratori si sentono coinvolti, hanno una loro identità aziendale. Quando invece i cittadini non sentono più alcuna identità con il mondo politico, è chiaro che la disgregazione è alle porte. In questo senso anche l’economia diventa un problema, perché essendo debole il Palazzo, le incursioni delle lobby sono tali da incidere sulle decisioni collettive allo scopo di raggiungere i propri fini e non quelli generali.

A questo punto va chiarito un grande equivoco: quando va a votare metà elettorato, il ragionamento sui numeri finali, sulle percentuali, devono tenerne conto. Il frazionamento, che nonostante le forzature bipartitistiche di leggi elettorali che si susseguono produce almeno 3 o 4 partiti in lizza, fa sì che alla fine vada a governare una forza che mediamente ha il 13% dei consensi del Paese. Perché? E’ presto detto.

La matematica non è un’opinione. Se si ottiene il 25% dei consensi di chi è andato al voto, ma alle urne si è presentata la metà dell’intero corpo elettorale, vuol dire che quella cifra va divisa in due, e il consenso reale è vicino al 13%. Eppure, con questa miseria di voti, si va a governare rappresentando una minuscola porzione di un intero popolo del quale si devono curare gli interessi. Così si indebolisce sempre più la politica… Ecco l’inganno di cui nessuno parla.

Quando si dice che il vero problema dei Paesi occidentali più che l’economia è la democrazia, significa mettere in evidenza questa situazione di pericolosità; anche perché la stessa economia non può che accartocciarsi su se stessa in mancanza di una base democratica di scelte condivise.
La politica, se incardinata sulla democrazia, prenderà decisioni con l’appoggio dei diversi ceti sociali e nell’interesse di questi; solo così, con questo grande sostegno consapevole, si fa una buon governo.

Ai politici di oggi però non interessa tanto il consenso del popolo, bensì solo di quella piccola parte che gli consente comunque di prendere il potere. Ma è un gioco pericoloso. La disaffezione di metà elettorato è il sintomo di un male che sta aggredendo la nostra democrazia. Ignorarlo potrebbe rappresentare l’inizio della fine.