WEB E JIHAD, ECCO COME IL TERRORISMO SI RADICALIZZA ONLINE

Il web e il terrorismo sono realtà sempre più connesse. L’Isis lo ha dimostrato: internet non consente solo una più capillare organizzazione dei gruppi jihadisti ma anche la diffusione del messaggio nel mondo. La rete e i processi di radicalizzazione online “hanno reso possibile il terrorismo molecolare all’interno della vasta galassia jihadista come si evince dai cosiddetti lone wolves o ‘lupi solitari’ ossia individui che, ispirati dalla narrativa radicale ed integralista, commettono o preparano atti terroristici a sostegno di un gruppo, un’ideologia o di una causa specifica ma agiscono in modo isolato, al di fuori di una struttura e senza alcuna assistenza esterna come in occasione dell’assassinio del soldato Lee Rigby a Londra (2013) o dell’attentato durante la maratona di Boston (2013)”. E’ Vito Morisco a sottolineare, nello studio “Network jihadisti tra virtuale e reale”, pubblicato sul portale dell’Intelligence italiana www.sicurezzanazionale.gov.it, “l’impatto del web sui processi di radicalizzazione e sulla formazione di network del terrore. Dalla pubblicazione di Al-Qaeda 20 years strategy, elaborato da Abu Musab al-Zarqawi, il web sembra, infatti, aver assunto un ruolo sempre più centrale nei processi di radicalizzazione e nella formazione dei cosiddetti network jihadisti”. “I recenti avvenimenti di Parigi hanno evidenziato una nuova realtà ed un’ evoluzione del terrorismo fai-da-te: non più individui scoordinati e con scarse competenze operative ma degli “zombie”. Gli analisti hanno elaborato questa definizione ad indicare degli individui addestrati al combattimento i quali, dormienti all’interno di un paese straniero, si attivano in seguito a dei segnali inviati da una centrale terroristica. Questa evoluzione -prosegue l’autore dello studio- testimonia come il jihadismo, attraverso una rete ormai ben radicata di social networking, riesca a penetrare facilmente nella dimensione domestica dei paesi occidentali, favorendo l’indottrinamento sul web dei convertiti all’Islam radicale e dei terroristi autoctoni”.

“Numerosi studi -continua l’approfondimento ospitato sul portale web dei servizi italiani– ritengono che il processo di radicalizzazione sia composto da distinte fasi, le quali possono essere analizzate singolarmente. Passando in rassegna alcuni di questi modelli, si evince quanto internet abbia facilitato e velocizzato tale processo eppure, secondo molti analisti, i rapporti face-to-face svolgono ancora un ruolo cruciale2. “Nel 2007, il dipartimento di polizia della città di New York, in collaborazione con la Divisione Controterrorismo dell’Fbi, pubblicò il dossier The Radicalization Process: From Conversion to Jihad31, evidenziando quattro fasi di tale processo: pre-radicalizzazione: il primo step consiste nell’attrarre gli emarginati in cerca di accettazione o giovani convertiti all’Islam che perseguono una nuova interpretazione della fede; questi soggetti sono accomunati da un simile background sociale fatto di alienazione, discriminazione, razzismo, disoccupazione ed hanno la sensazione di essere vittime di una condizione di sottomissione che non riguarda soltanto loro, in prima persona, ma tutti i musulmani (es. le torture inflitte ai prigionieri di Abu Ghraib o le caricature del Profeta Maometto). Il primo approccio con gli integralisti avviene sul web oppure nelle prigioni, nelle moschee o le università”.

La seconda fase è quella dell’identificazione: “una persona si identifica in una causa estremista e accetta l’ideologia islamica radicale; in questa fase si verifica un isolamento, una frattura dal passato e, se prima erano necessari delle guide spirituali come un Imam fondamentalista oppure dei legami con dei ‘like-minded individuals’, ora il materiale integralista può essere consultato online”. Il terzo step è quello dell’indottrinamento: “dopo la cognitive opening in favore della nuova causa, l’obiettivo è quello di diventare un membro attivo, di partecipare efficacemente e ricoprire dei ruoli all’interno dei campi di addestramento oppure nelle campagne di finanziamento”. C’è poi il passaggio alla jihadizzazione: “Il processo di radicalizzazione -rileva l’autore dello studio- termina con attività operative come la preparazione, pianificazione ed esecuzione di un atto terroristico”.