QUARANTATRE’ ANNI FA L’OMICIDIO DEL COMMISSARIO LUIGI CALABRESI

Quarantatré anni fa a Milano in via Francesco Cherubini, traversa di Corso Vercelli, di fronte al civico nº 6, vicino alla sua abitazione, il commissario di polizia Luigi Calabresi veniva ucciso mentre si avviava alla sua auto per andare in ufficio da un commando composto da almeno due sicari che gli spararono alle spalle. Lasciò la moglie Gemma Capra, incinta, e due figli: Mario, che diventerà noto giornalista e scrittore, attuale direttore de La Stampa, e che ha raccontato la storia della sua famiglia nel libro Spingendo la notte più in là e Paolo. Il terzo figlio, Luigi, nascerà pochi mesi dopo la sua morte. Il commissario Luigi Calabresi, in quel periodo, partendo da sue indagini sulla morte di Giangiacomo Feltrinelli, dilaniato da una bomba che l’editore (secondo alcune ricostruzioni) stava collocando su di un traliccio, stava investigando su di un traffico internazionale di esplosivi e di armi che sarebbe avvenuto attraverso il confine triestino e quello svizzero.  Per il suo omicidio vennero condannati i militanti di Lotta Continua Leonardo Marino, Ovidio Bompressi, Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri.

Il 17 maggio 1973, ad un anno dall’assassinio, durante l’inaugurazione di un busto commemorativo in memoria del commissario nel cortile della questura di via Fatebenefratelli di Milano, cerimonia cui partecipò l’allora Ministro dell’Interno Mariano Rumor, Gianfranco Bertoli, dichiaratosi anarchico, lanciò una bomba a mano tra i partecipanti alla commemorazione. L’esplosione uccise 4 persone e ne ferì 45, non colpì il ministro indicato come probabile obiettivo, già allontanatosi dal cortile. Gianfranco Bertoli, che era da poco tornato in Italia dopo un periodo trascorso in un kibbutz israeliano, rivendicò l’azione come vendetta per la morte di Franco Pinelli, l’anarchico morto dopo essere volato dalla finestra del commissariato dove veniva interrogato, proprio da Calabresi, in relazione alla strage di Piazza Fontana.

Calabresi è stato proclamato Servo di Dio dalla Chiesa che lo considera martire per la giustizia e le cui qualità cristiane furono riconosciute da Papa Paolo VI. Giovanni Paolo II lo definisce “testimone del Vangelo e eroico difensore del bene comune”. È iniziato un processo di beatificazione ad opera del sacerdote Ennio Innocenti.