LA VOCAZIONE CRISTIANA E’ UNA CHIAMATA ALL’AMORE

“La Chiesa è davvero fedele al suo Maestro nella misura in cui è una Chiesa ‘in uscita’, non preoccupata di se stessa, delle proprie strutture e delle proprie conquiste, quanto piuttosto capace di andare, di muoversi, di incontrare i figli di Dio nella loro situazione reale e di compatire per le loro ferite”. Sono le parole che Papa Francesco scrive in occasione della 52esima giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, che sarà celebrata il prossimo 26 aprile. Nel testo il Pontefice spiega come l’amore di Dio, inserito in una continua dinamica di relazione trinitaria, è un amore che si concretizza nella liberazione dell’uomo dalla sua miseria.

Per questo la Chiesa che evangelizza, esce per incontrare chi è più ferito e ha bisogno di una Parola nuova che possa guarire le sue piaghe in profondità. “Alla radice di ogni vocazione cristiana – scrive Jorge Mario Bergoglio nel testo – c’è questo movimento fondamentale dell’esperienza di fede: credere vuol dire lasciare se stessi, uscire dalla comodità e rigidità del proprio io per centrare la nostra vita in Gesù Cristo”. I cristiani devono poter vivere l’esperienza di Abramo che lascia la sua terra per mettersi in cammino dietro la promessa di Dio, certi che Lui indicherà la strada verso una nuova terra.

“Questa ‘uscita’ – sottolinea Francesco – non è da intendersi come un disprezzo della propria vita, del proprio sentire, della propria umanità; al contrario, chi si mette in cammino alla sequela del Cristo trova la vita in abbondanza, mettendo tutto se stesso a disposizione di Dio e del suo Regno”. A riguardo il Santo Padre ricorda nel suo messaggio le parole del Vangelo in cui Gesù dice: “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna”.

Concludendo il Papa sintetizza la sua esortazione con una breve ma incisiva frase: “La vocazione cristiana è prima di ogni altra cosa una chiamata d’amore, nel quale – e qui cita il predecessore Ratzinger – si innesca un esodo permanente dell’io chiuso in sé stesso verso la sua liberazione nel dono di se, e proprio così verso il ritrovamento di se, anzi verso la scoperta di Dio”.