Altro che terrorismo!

“Quel tizio era accusato di bancarotta fraudolenta, ora verrà anche imputato di triplice omicidio. Se questo è il vostro eroe fate un po’ pena come esseri umani”. “Questi sono i gesti della disperazione delle persone indifese contro uno Stato insensibile e spietato”. Sono due tra le migliaia di commenti contrastanti che hanno invaso i social network qualche ora dopo la strage al tribunale di Milano, e sui quali vale la pena di riflettere. Un dato in premessa: per nessun motivo è lecito uccidere. Lo abbiamo ribadito con forza affrontando il discorso della pena di morte, che tocca le corde più torbide dell’animo umano: la definizione di stupratori e assassini solletica il nostro senso di vendetta che sfocia spesso nella richiesta di supplizio capitale.

Non è aggiungendo violenza a violenza, morte a morte, che si risolvono i mali del mondo, anzi. Né possiamo giustificare con gli effetti della crisi economica un gesto tanto efferato. Non va fatto per rispetto ai moltissimi italiani che soffrono, tirano la cinghia, faticano ad arrivare alla fine (o anche a metà) del mese e restano onesti, integerrimi, mai si sognerebbero di fare del male a qualcuno per farsi giustizia. Il meccanismo per il quale si discolpa chi uccide, in nome di una falsato concetto di contrappasso nei confronti di uno Stato vessatore e ingiusto, è un automatismo logico improprio; le vittime stavolta erano persone che, al contrario, rappresentano proprio quella parte di Italia che si sveglia ogni mattina per andare a compiere il proprio dovere, ognuno con la propria professionalità.

E che la sera, una volta chiusa la porta del tribunale o dello studio legale, continua a compiere il proprio dovere di padre, marito, fratello o figlio all’interno di famiglie alle quali è stato strappato il bene più caro da una mano criminale, che non possiamo definire folle. Questo infatti è proprio l’aggettivo da non utilizzare, per non scaricare da colpe chi si è macchiato del “diritto” di togliere la vita a qualcun altro; non c’era pazzia ma lucidità nel preparare le carte per un fallimento fraudolento, né c’era obnubilazione nel momento in cui il killer entrava in Tribunale con una pistola carica in tasca. Lui come gli altri che scientemente procurano dolore e morte al prossimo. Ingiustificabili sia se terroristi conclamati sia se persone cosiddette “normali”.

Ferma condanna, dunque. Ma qualche domanda però bisogna porsela: non “perché” ci sia qualcuno che arriva a questi livelli di violenza, ma per le giustificazioni che in tanti, troppi cittadini danno alla tragedia; il senso di ostilità che ormai accompagna ogni istituzione, ogni rappresentante dello Stato, è palpabile. Politici e magistrati, forze dell’ordine e impiegati pubblici sono visti come “nemici”, come qualcuno pronto a ferire, che non fa parte dello stesso popolo ma è dall’altra parte di un’immaginaria barricata. Spesso le stesse corporazioni alimentano questo corto circuito diffidando l’una dell’altra: lo scontro tra politica e giudici in tal senso è emblematico.

Una guerra civile strisciante, covata sotto il rancore, che ogni tanto trova nella mano armata di un Preiti o di un Giardiello il suo picco visibile. Bisogna correre ai ripari subito, senza però arrivare ad immaginare uno Stato di Polizia. Piuttosto uno Stato di Diritto, laddove con questo termine va inteso non solo il rispetto delle regole ma anche della dignità umana: lavoro, istruzione e salute ai primi posti. Ad oggi siamo ancora troppo distanti da questo obiettivo.

Ultima considerazione, più che altro una domanda. Ci hanno detto di stare sereni perché in caso di un attacco terroristico dell’Isis, che più volte ha minacciato l’Italia, saremmo preparati. Ma davvero pensiamo di essere in grado di controllare i tanto temuti jihadisti se non siamo nemmeno capaci di accorgerci di un singolo cittadino disperato che gira armato in un palazzo di Giustizia ammazzando da un piano all’altro?