SANITA’ MALATA, I TRUCCHI DELLE CLINICHE PRIVATE

Quando si parla di malasanità viene immediatamente il pensiero di un intervento chirurgico finito in tragedia piuttosto che di una barella abbandonata per giorni in corridoio con un paziente “a bordo” oppure una pinza lasciata nella pancia di un malato. Ma c’è un’altra declinazione del concetto, meno drammatica sotto il profilo mediatico ma ugualmente devastante sotto quello delle prestazioni al pubblico: l’emorragia di soldi attraverso i rimborsi. A volte provocata da una dissennata volontà dei politici di favorire cliniche amiche, altre da una gestione allegra delle stesse strutture sanitarie.

La Corte dei Conti è in prima linea contro questi sprechi, non necessariamente ravvisabili come “truffe” sotto il profilo squisitamente penale. Ma certo il danno provocato alle casse pubbliche è tale da indignare ugualmente. E’ il caso della sentenza 185/2015 pronunciata questo mese dalla Sezione Giurisdizionale del Lazio e riguarda un trucchetto messo in campo da un Centro di chirurgia ambulatoriale senza ricovero di Civitavecchia che in pochi anni ha fruttato un indebito guadagno – soldi pagati dal servizio sanitario nazionale, cioè da tutti noi – di oltre 2 milioni e 630 mila euro. Il meccanismo era semplice: si effettuavano prestazioni sanitarie non in regime di accreditamento e poi però si chiedeva il rimborso per altre tipologia di prestazioni regolarmente accreditate. La Asl pensava di pagare un certo tipo di prestazioni che invece non erano mai state eseguite. Tutto qua. Un foglio di carta è il più era fatto.

La cosa non è sfuggita alla Finanza che ha segnalato il tutto ai magistrati contabili. I quali però hanno dovuto riscontrare che per una serie di incongruenze era intervenuta la prescrizione, col risultato che al titolare del centro è sì arrivata la condanna, ma per “solo” 358.702 euro.

Questo di Civitavecchia è però solo l’ultimo caso di un malcostume diffuso, che vede il settore sanitario nell’occhio del ciclone. Un altro, di questi giorni, è la presunta frode al Ssn architettata tra il 2007 e il 2009 e i rimborsi illegittimi, ottenuti grazie a una lunga serie di prestazioni ortodontiche camuffate da interventi ortopedici presso l’ospedale Israelitico di Roma. Attraverso i carabinieri del Nas, è stato disposto il sequestro conservativo di beni e proprietà riconducibili alla proprietà della struttura sanitaria per un valore totale di oltre 8,5 milioni di euro. Il via libera potrebbe arrivare il 15 aprile, giorno in cui è stata fissata l’udienza di convalida del provvedimento. Il 7 ottobre, invece, appuntamento davanti ai magistrati della sezione giurisdizionale, dove il caso sarà valutato nel merito.

E poi ancora il caso scoperto a Cosenza dai finanzieri del Nucleo di polizia Tributaria, dove sono stati scovati 518 soggetti beneficiari di “indennità di accompagnamento” dal 2010 al 2014 che erano stati ricoverati presso strutture ospedaliere pubbliche o private per periodi superiori a 30 giorni, con retta a totale carico dell’erario. Insomma, la retta la pagava lo Stato, e in aggiunta a questa i beneficiari si intascavano pure l’indennità. Ma i guasti esistono anche fuori dai circuiti ospedalieri. Una coppia di farmacisti 60enni di Padova, dopo aver rubato timbro e ricettario a un medico, ha falsicato le ricette intestandole a ignari pazienti o a persone decedute. Danni per le casse nazionali? Mezzo milione di euro.

La sanità sembra dunque un pozzo dove chiunque può tentare di abbeverarsi: dagli imprenditori ospedalieri agli stessi pazienti, ai farmacisti. Uno schiaffo alla deontologia non solo medica ma anche imprenditoriale. E dovrebbe essere invece uno dei settori più tutelati dalla coscienza prima ancora che dalla legge. Se questa è ancora l’Italia di oggi, perché sorprendersi delle mazzette, dei privilegi, della politica corrotta?