GARLASCO, I GIUDICI: “CHIARA UCCISA PERCHE’ PERICOLOSA”

Era la mattina del 13 agosto di otto anni fa quando l’allora studente della Bocconi, Alberto Stasi, chiamò il 118 dicendo di aver trovato la sua fidanzata, Chiara Poggi, ferita nella sua villetta di Garlasco. Stasi era subito stato indagato per l’omicidio della ragazza 25enne, fermato e poi rilasciato. Si il gup di Vigevano che i primi giudici di appello di Milano lo avevano assolto. Sentenza che è stata annullata lo scorso 18 aprile 2013 dalla Cassazione che aveva rinviato gli atti per lo svolgimento di un nuovo processo. Da qui si è aperto un nuovo percorso giudiziario che lo scorso dicembre si è risolto con la condanna di Stasi a 16 anni di carcere e il pagamento di un milione di euro come risarcimento alla famiglia Poggi.

“Era così tranquilla, aveva così fiducia nel visitatore da non fare assolutamente niente, tanto da venire massacrata senza alcuna fatica, oltre che senza alcuna pietà”. È quanto si legge nelle motivazioni depositate questa mattina in cancelleria dai giudici della prima corte d’Assise d’appello di Milano. “Uccise Chiara perché era pericolosa, per un motivo rimasto sconosciuto”. Infatti, secondo i magistrati la ragazza era diventata un peso nella vita del ragazzo e la ricostruzione dell’omicidio ha evidenziato “una sorta di progressione criminosa, dipendente dalla reazione della vittima, già colpita al capo, e poi di nuovo e con maggiore violenza ancora colpita, in prossimità della porta della cantina, fino alla azione finale del lancio, a testa in giù, lungo le scale – si legge ancora nelle motivazioni – tale condotta, tuttavia all’evidenza supportata da un dolo d’impeto, scatenato da quel movente che non è stato possibile accertare, va valutata nella sua unicità e nel suo sviluppo indirizzato verso l’esito finale, ovvero la morte della vittima”.

Sono ben 140 pagine quelle depositate nella mattinata dai giudici, in cui viene evidenziata la condotta “non collaborativa” di Stasi, “finalizzata ad allontanare i sospetti dalla sua persona. Ha da subito sviato le indagini, ipotizzando un incidente domestico e ha progressivamente messo a disposizione degli inquirenti ciò che, nel tempo, assumeva via via qualche interesse investigativo”. Un alibi che non lo elimina dalla scena del crimine, il calzare scarpe numero 42 come quelle dell’assassino, oltre al fatto che Chiara sia stata uccisa da una “persona conosciuta”; sono questi gli elementi che secondo la Corte permettono di “individuare nell’imputato, oltre ogni ragionevole dubbio, l’assassino di Chiara Poggi”.