Quella memoria di serie B

maurizio_piccirilliOggi si onorano i morti delle foibe. Cinquemila, diecimila ma alcuni storici arrivano a considerare ventimila le vittime dell’odio. Una pagina di storia taciuta e nascosta. Il genocidio di italiani da parte dei partigiani jugoslavi di Tito avvenuto tra l’autunno del 1943 e ben oltre la fine della guerra. Un’eliminazione scientifica anche questa come lo è stata quella messa in atto dai nazisti nei confronti di ebrei, diversi e oppositori. E non è un caso che essa sia avvenuta in quello squarcio di secolo buio che vide il compiersi delle nefandezze terribili che chiamiamo Seconda guerra mondiale. Ma che purtroppo si ripetono nella storia dell’uomo con scadenza ciclica. La pulizia etnica è uno strumento bellico al quale si fa ricorso senza remore. Non basta la violenza e l’orrore propri dei conflitti, l’uomo riesce a superarsi in malvagità. Ed ecco mettere in atto crimini terribili. La storia delle foibe è uno di questi.

La particolare natura dell’altipiano carsico si trasformò in un grande cimitero. Gli inghiottitoi carsici, le foibe appunto, profonde fenditure del terreno, profonde fino all’inverosimile, divennero il patibolo per gli italiani che ebbero la sventura di incrociare le milizie cetniche e comuniste agli ordini di Tito. Una morte orrenda attendeva i prigionieri. Detenuti senza cibo e sottoposti a continue vessazioni venivano condotti sull’orlo delle foibe il più delle volte scalzi e ripetutamente picchiati durante il tragitto. Giunti sull’orlo della fenditura, ad alcuni venivano legate le pietre ai piedi, altri venivano semplicemente spinti giù. Ancora vivi sparivano nella foiba. I corpi di molti non sono stati mai recuperati.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, il regio esercito era allo sbando e i partigiani jugoslavi avanzavano verso la Dalmazia e la Venezia Giulia. Cominciò così il genocidio degli italiani. Prima i fascisti, colpevoli di orrendi crimini in Jugoslavia contro la popolazione civile. Poi i partigiani comunisti allargarono la cerchia delle loro vittime a tutti gli italiani che trovavano sulla loro strada. Senza distinzione alcuna. Partigiani cattolici, liberali, preti, vecchi, donne, bambini. Chiunque veniva giudicato nemico dell’Armata di Tito. Tra essi don Francesco Bonifacio, beatificato nel 2008. Diciotto carabinieri della Tenenza di Gorizia spariti una notte del 1943 dopo essere stati fatti prigionieri dai partigiani slavi. Di loro non si seppe più nulla fino al 1996 quando il figlio del brigadiere Pasquale Guarini riuscì a trovare alcuni testimoni che lo indirizzarono alla foiba di Zavnj dove furono trovati i resti dei militari dell’Arma. Una pagina tragica della storia che per molti anni è stata rimossa dalla paura, nascosta come una vergogna, oscurata dall’omertà. I crimini della seconda guerra mondiale dovevano essere solo nazisti e il fatto che i partigiani slavi comunisti si fossero resi responsabili di un simile genocidio era in contrasto con la scrittura della storia da parte dei vincitori. Di una parte di essi che per anni sono stati portavoce del negazionismo sulle foibe.

Il Giorno della memoria è stato istituito per legge nel marzo 2004. Il primo a rompere il muro di silenzio che avvolgeva la sinistra italiana fu Luciano Violante, una storia nel Partito Comunista e all’epoca presidente della Camera. Nel 2006 Carlo Azeglio Ciampi, allora al Quirinale, durante le celebrazioni dichiarò: “L’Italia non può e non vuole dimenticare: non perché ci anima il risentimento, ma perché vogliamo che le tragedie del passato non si ripetano in futuro”. Il discorso venne ripreso nel 2007 da Giorgio Napolitano, che attribuì l’origine delle foibe a “un moto di odio e furia sanguinaria e un disegno annessionistico slavo che prevalse innanzitutto nel trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica”.

Ma nonostante questo i martiri delle foibe restano vittime dimenticate e alla stazione Laurentina a Roma, dove sorge il monumento bronzeo a quei caduti, sono sempre pochi i fiori che li onorano.