QUINTO COMANDAMENTO
NON UCCIDERE

E’ un’Italia lacerata, spaccata in due, quella che ci consegna l’ultima notizia di cronaca di questi giorni. Rabbia e insicurezza, giustizia e perdono, vita e morte sono al centro di un confronto che spazia dai giornali alla piazza virtuale del web. Non è solo una separazione tra innocentisti e colpevolisti, ma un segnale preciso di quanto sia pericolosamente instabile la società moderna, dove il concetto del bene e del male spesso si sovrappongono.

Alla base di questo nuovo corto circuito sociale c’è la vicenda del benzinaio veneto che è intervenuto, martedì scorso, con un fucile per fermare una rapina in gioielleria che rischiava di trasformarsi in carneficina. Ora è indagato per eccesso colposo di legittima difesa. Ha sparato in aria, Graziano Stacchio, per mandare via i rapinatori. E loro sono fuggiti, ma non prima di sparare a loro volta all’impazzata, fortunatamente non hanno colpito altro che macchine parcheggiate. Erano 4 e si sono messi alla guida, ma dopo 200 metri lo schianto: l’uomo che guidava è morto, sul colpo o, più probabilmente, è morto poco prima di sbattere contro un albero.

Le sue prime dichiarazioni sono state: “Non sento di averlo ucciso, dovevo difendermi”. A poco tempo dall’evento i suoi sentimenti sono però mutati: “Penso ai figli di quell’uomo – è il suo sfogo nel giorno in cui ha saputo che gli è stata assegnata una scorta – Mi fa male pensare a loro. A volte mi dico che ho fatto bene, poco dopo cado nello sconforto”.

La famiglia della vittima, Albano Cassol, nomade di 41 anni, vede la cosa dal suo punto di vista: la compagna Cristina, incinta, e suo padre Diego, non escludono di costituirsi parte civile nell’eventuale processo: “Chi ha sbagliato, sia sparando, sia con parole esagerate, deve pagare”. Ecco un altro punto della vicenda: non si parla solo della morte, ma dei giudizi. Perché il fatto che fossero nomadi ha innescato immediatamente la sentenza di pubblica condanna; ma loro replicano, chiedono che i politici la smettano di “attaccarli” perché sono nati a Montebelluna, o a Treviso, o a Vicenza: “Siamo anche noi razza Piave”, sintetizzano.

Razza. Una parola che da tempo non si sentiva più nel vocabolario comune, e che oggi è tornata d’attualità, complice la crisi economica, con tutto il suo retropensiero maledetto. Ma se possibile la questione è ancora più complessa: “La cosa più grave – commenta Igor Gelarda Dirigente Nazionale del Sindacato di Polizia Consap – è che il rapinatore aveva un curriculum criminale di tutto rispetto: contava una sfilza di precedenti per reati contro il patrimonio, ma anche furti e rapine, con sparatorie. Precedenti di rapine a mano armata in banca e in altre attività commerciali, con folli fughe in auto. Cosa ci faceva libero?” Ecco un altro tema sensibile: la Giustizia, ossia la capacità dello Stato di utilizzare gli strumenti che ha, non solo per reprimere ma anche per prevenire. Una prospettiva che la gente ormai percepisce come un’utopia, nonostante la buona volontà delle forze dell’ordine.

Ecco allora che si aggiunge alla terribile vicenda, la decisione della gioielleria Zancan – che ha già subito una rapina nel 2013 da un milione di euro – di chiudere i battenti: “Con questa violenza criminale non si può andare avanti – ha dichiarato il titolare – Non basta la crisi da sola, anche la paura della criminalità uccide la nostra economia”.

Altri posti di lavoro persi, altra disperazione che fa montare la rabbia. In un contesto simile tutto si offusca: la ragione e il torto, vittime e carnefici. Intendiamoci: non c’è motivo al  mondo che giustifichi l’atto di uccidere, ma proprio il fatto che questo principio assoluto venga messo in discussione per paura, rabbia, esasperazione, è il sintomo più preoccupante di quanto sia malata la società attuale.