Il Papa: “A tante persone è negato il diritto alle cure: non possiamo tacere”

Nel giorno in cui il Vangelo narra la guarigione del lebbroso, il Santo Padre ricorda che "negare il diritto alla cura è negare il diritto alla vita".

usura
Foto © VaticanMedia

“Non possiamo tacere il fatto che ci sono tante persone, oggi, alle quali è negato il diritto alle cure, e dunque il diritto alla vita”. Specie in quella che è la Giornata a tema dedicata al malato, per l’esattezza la trentaduesima. Lo ricorda Papa Francesco, al termine dell’Angelus domenicale, individuando sia nelle condizioni di “povertà estrema” che “nei territori di guerra“, le condizioni per la violazione, o addirittura l’assenza totale, dei diritti umani fondamentali. Una situazione che, ancora una volta, il Santo Padre ha definito “intollerabile”, invitando i fedeli a unirsi alla preghiera affinché torni la pace nei luoghi di conflitto.

L’Angelus di Papa Francesco

Di seguito, l’Angelus integrale di Papa Francesco:

Il Vangelo oggi ci presenta la guarigione di un lebbroso (cfr Mc 1,40-45). Al malato, che lo implora, Gesù risponde: «Lo voglio, sii purificato!» (v. 41). Pronuncia una frase semplicissima, che mette immediatamente in pratica. Infatti «subito la lebbra scomparve ed egli guarì» (v. 42). Ecco lo stile di Gesù con chi soffre: poche parole e fatti concreti.

Tante volte, nel Vangelo, lo vediamo comportarsi così nei confronti di chi soffre: sordomuti (cfr Mc 7,31-37), paralitici (cfr Mc 2,1-12) e tanti altri bisognosi (cfr Mc 5). Sempre fa così: parla poco e alle parole fa seguire prontamente le azioni: si china, prende per mano, risana. Non indugia in discorsi o interrogatori, tanto meno in pietismi e sentimentalismi. Dimostra piuttosto il pudore delicato di chi ascolta attentamente e agisce con sollecitudine, preferibilmente senza dare nell’occhio.

È un modo meraviglioso di amare, e come ci fa bene immaginarlo e assimilarlo! Pensiamo anche a quando ci succede di incontrare persone che si comportano così: sobrie di parole, ma generose nell’agire; restie a mettersi in mostra, ma pronte a rendersi utili; efficaci nel soccorrere perché disposte ad ascoltare. Amici e amiche a cui si può dire: “Vuoi ascoltarmi?” “Vuoi aiutarmi?”, con la fiducia di sentirsi rispondere, quasi con le parole di Gesù: “Sì, lo voglio, sono qui per te, per aiutarti!”. Questa concretezza è tanto più importante in un mondo, come il nostro, in cui sembra farsi sempre più strada una evanescente virtualità delle relazioni.

Ascoltiamo invece come ci provoca la Parola di Dio: «Se un fratello o una sorella sono nudi e mancanti del cibo quotidiano, e uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, scaldatevi e saziatevi”, ma non date loro le cose necessarie al corpo, a che giova?» (Gc 2,15-16). Questo lo dice l’apostolo Giacomo. L’amore ha bisogno di concretezza, l’amore ha bisogno di presenza, di incontro, ha bisogno di tempo e spazio donati: non può ridursi a belle parole, a immagini su uno schermo, a selfie di un momento o a messaggini frettolosi. Sono strumenti utili, che possono aiutare, ma non bastano all’amore, non possono sostituirsi alla presenza concreta.

Chiediamoci oggi: io so mettermi in ascolto delle persone, sono disponibile alle loro buone richieste? Oppure accampo scuse, rimando, mi nascondo dietro parole astratte e inutili? Concretamente, quand’è stata l’ultima volta che sono andato a visitare una persona sola o malata – ognuno si risponda nel cuore –, o quando è stata l’ultima volta che ho cambiato i miei programmi per venire incontro alle necessità di chi mi domandava aiuto?