Eutanasia, pena di morte indotta?

rp_masini_enrico-150x150.jpgChe cosa distingue ognuno di voi da Padre Pio?”. Fu una delle ultime provocazioni lanciate da don Oreste Benzi. E non la fece ai suoi fedelissimi ma agli ergastolani di Spoleto, quelli con “Fine pena mai”, a cui era andato in visita per dar loro una speranza di vita e sostenere il loro recupero. Dopo un acceso dibattito diede la sua risposta: “Nulla, siete tutti figli di Dio, tutti fatti a sua immagine e somiglianza, proprio come Padre Pio”. La dignità è inseparabile dalla vita umana, ogni uomo la possiede nel suo semplice esistere ed è chiamato a rispettarla ed essere rispettato. Non può essere tolta ed è sempre una barbarie non riconoscerla. Scegliere di togliere la vita ad un uomo, anche a sé stessi, è un atto di dominio illegittimo che viola prima di tutto chi la vita l’ha permessa e donata.

Finalmente si sta riconoscendo, in quasi ogni parte del globo, che la pena di morte rappresenta un’ingiustizia in sé. La maggior parte degli stati l’hanno abolita e sono davvero pochi quelli che ancora la praticano.
Ma ci sono altre forme sotto cui si sta promuovendo, una di queste è l’eutanasia, soppressione di una vita umana per eliminare ogni dolore. Il caso di Frank Van den Bleeken, ergastolano belga a cui è stata concessa l’eutanasia, non rappresenta forse una forma nascosta di pena di morte?

“La nostra società non cura i problemi – diceva ancora don Benzi – ma elimina chi pone il problema.” Così la legalizzazione dell’eutanasia rappresenta un modo pilatesco per lavarsi le mani di orrendi crimini. Si convincono le persone a togliere il disturbo volontariamente, facendo passare per autodeterminazione ciò che altri, pur non dicendolo, desiderano. Il modo più efficace è non offrendo al prescelto ciò che gli spetta e che ritiene di importanza vitale. Lo si porta così alla disperazione inducendolo quindi a scegliere ciò che non vorrebbe.

Frank, infatti, non chiedeva di morire in odio alla vita ma perché non gli è stato concesso di curarsi da ciò che lo ha portato in cella. Quindi lui riconosce di aver commesso dei crimini, si considera malato della tendenza a compierne e desidera guarirne, tutto questo dopo aver espiato i suoi primi 30 anni di pena. Non chiede di essere liberato, né più di quanto il sistema carcerario di ogni paese civile dovrebbe costitutivamente mettere in atto per restituire cittadini onesti alla società.

Oggi si finisce in carcere con l’etichetta di “delinquente” e se ne esce con quella di “avanzo di galera”. Gli unici “amici” che restano sono quelli conosciuti in carcere e l’unico mestiere che riesce è quello appreso durante la detenzione. Di certo più una “scuola del crimine” che un luogo “rieducativo”. Ogni richiesta di eutanasia rappresenta una richiesta di aiuto più o meno palese e nel caso di Frank è chiara ed esplicita.

Perché allora non provare ad esaudirne le legittime istanze di aiuto? Si cela forse il tentativo di utilizzare politicamente il suo caso estremo per ottenere una diminuzione “volontaria” della popolazione carceraria? Prova di tutto questo è la notizia che, a pochi giorni dall’esecuzione, l’atto eutanasico è stato revocato su richiesta dei medici e che a Frank verrà data l’opportunità di curarsi.